
Una Vita per la Missione
Carlo M. Martini
L'Itinerario Spirituale dei Dodici
Introduzione generale
Vorrei soltanto dare due indicazioni che possono servire per entrare nel lavoro degli Esercizi che gradualmente inizieremo domani.
La prima indicazione sul tema e la seconda indicazione sugli attori degli Esercizi.
Ho scelto come tema il Vangelo di san Marco e ci intratterremo quindi sulla lettura di questo Vangelo. Non ne faremo una lettura continuata (cioè non prenderemo il Vangelo capitolo per capitolo), e nemmeno - una lettura direttamente tematica (cioè non ci fermeremo su alcuni temi del Vangelo di Marco, per esempio sul Regno di Dio, le parabole, i miracoli ecc.). Ne faremo piuttosto una lettura catechistica perché essa ci aiuterà a percorrere una via, un cammino spirituale più consono ad un corso di Esercizi Spirituali.
Cosa intendiamo per lettura catechistica?
Dobbiamo partire dal fatto probabile che san Marco presenta una catechesi, un manuale per il catecumeno. Il Vangelo di Marco è, cioè, un Vangelo fatto per quei membri delle primitive comunità che cominciano l'itinerario catecumenale. Per Marco si può senz'altro parlare di Vangelo del catecumeno. Matteo è, invece, il
Vangelo del catechista; cioè, il Vangelo che dà al catechista un insieme di prescrizioni, dottrine, esortazioni. Luca è il Vangelo del dottore; cioè, il Vangelo dato a colui che vuole un approfondimento storico"salvifico del mistero, in una visuale più ampia. Giovanni, infine, è il Vangelo del presbitero, quello che al cristiano maturo e contemplativo dà una visione unitaria dei vari misteri della salvezza.
Marco è il primo di questi quattro manuali: il manuale del catecumeno; centrato quindi su un itinerario catecumenale. Esso si può ben condensare intorno alla parola di Gesù ai suoi: «A voi è dato il mistero del Regno, a quelli di fuori in parabole» (Mc 4, 11).
Il Vangelo di Marco infatti ci mostra come dalle parabole, cioè dalla visuale esteriore del mistero del Regno, possiamo entrare al di dentro e ricevere questo mistero. C'è dunque in Marco un cammino catecumenale che, però non è ancora l'oggetto specifico di queste nostre considerazioni.
Ce n'è un'altra da fare. In questo itinerario catecumenale, che si sviluppa lungo tutto il Vangelo di Marco, hanno gran parte i dodici apostoli.
Propongo quindi, come oggetto specifico, secondo il quale considereremo il Vangelo di Marco, l'itinerario spirituale dei Dodici. Su questo itinerario ciascuno di noi potrà rivedere, riflettere, ripensare il proprio cammino interiore.
* * *
La seconda indicazione riguarda gli attori di questo ritiro: chi è che agisce in questi giorni. Gli attori sono tre.
Lo Spirito Santo è colui che conduce il ritiro. Nei suoi confronti, la domanda da porsi sarà: Quid vult?
Che cosa vuole lo Spirito da me in questo ritiro? Dove mi vuole condurre?
Il secondo attore, guidato dallo Spirito, siete ciascuno di voi: La domanda da porvi è questa: Quid volo?
Che cosa desidero, che cosa attendo, che cosa mi propongo? Lasciamo affiorare gradualmente, nella solitudine, i nostri bisogni, i nostri desideri interiori, le nostre necessità, spesso soffocati, per l'urgenza degli altri, dal clima di ogni giorno, ostico al silenzio e alla preghiera.
La terza persona agente sono io stesso. Sarò soltanto un suggeritore: e il suggeritore ha il compito di facilitare il lavoro dando qua e là qualche indicazione tematica che aiuti ciascuno a riflettere sull'itinerario dei Dodici nel Vangelo di Marco. Essendo io un sacerdote gesuita, faccio infine notare che l'itinerario
ascetico (asketikòs, da askéin = esercitare) quale è proposto nel Vangelo di Marco, è lo stesso che, con altre parole, è riflesso nel libro degli « Esercizi spirituali» di sant'Ignazio di Loyola.
* * *
Termino queste parole di, introduzione aggiungendo un pensiero che prendo dall'ultimo interessante libro di Hans Urs Von Balthasar: Il complesso antiromano (trad. italiana di G. Moretto, Brescia 1974).
L'Autore esamina ampiamente come mai esista oggi nella Chiesa un fenomeno di opposizione a Roma, tipico del nostro tempo.
Una delle cose che mi ha colpito, scorrendo il libro, è l'importanza che egli dà al principio mariano della Chiesa. Le parole che voglio citare e sulle quali forse potremo ritornare, riguardano questo fatto: la Chiesa - egli dice - è petrina (cioè apostolica), ma nello stesso tempo è anche mariana.
Balthasar fa notare diffusamente come i due aspetti, compenetranti insieme, danno il volto completo della Chiesa. In qualche modo, l'uno integra l'altro e, dal punto di vista dell'aspetto anche esteriore, umano e affettivo della vita quotidiana, lo completa.
Dovendo, quindi, meditare sull'itinerario dei Dodici in Marco, dobbiamo tenere presente nella nostra preghiera la Madonna perché ci aiuti ad entrare veramente sempre più nel cuore della Chiesa, come il Vangelo ce la presenta; cioè, in tutta la sua totalità, in maniera da poterci confrontare quotidianamente con questa Chiesa apostolica e mariana.
Premessa sul Vangelo di san Marco
Ci chiediamo: esiste un itinerario dei Dodici nel Vangelo di Marco? Hanno, i Dodici, nel Vangelo di Marco, un'importanza sufficiente da permetterci di seguire con un certo rigore esegetico il loro cammino?
Cominciamo con una constatazione di lettura: nel Vangelo di Marco ricorre abbastanza sovente la parola: i Dodici (oi dodeka). Vi sono sette brani che possiamo chiamare i brani dei Dodici.
La prima menzione è al capitolo terzo: «ne fece Dodici» (3, 14); ripetuto in 3, 16: «fece i Dodici ». La seconda la troviamo nel capitolo seguente: «Quando fu solo lo interrogavano quelli con Lui, cioè i Dodici, e gli chiedevano il significato delle parabole» (4, 10).
Il terzo passo si trova al capitolo sesto: «e chiama i Dodici» (6, 7). Qui è interessante notare che il greco ripete lo stesso verbo (proskaléitai) di Me 3, 13: «Chiama a sé quelli che vuole».
Strettamente connessi con questo brano, alla fine del medesimo capitolo, abbiamo gli apostoli che si radunano presso Gesù: i Dodici sono invitati da Lui ad andare in un luogo deserto e solitario (6, 31).
La quarta occorrenza si trova al capitolo nono, in alcune istruzioni di Gesù ai discepoli: Egli «chiamò i Dodici e disse loro: 'se qualcuno vuole essere il primo sia l'ultimo' » (cfr. 9, 35; 9, 35-50).
La quinta menzione dei Dodici è nel capitolo seguente: la terza predizione della morte e risurrezione: 10, 32-35.
Il sesto brano è contenuto nel capitolo undecimo:
Gesù, dopo essere entrato «in Gerusalemme, nel tempio, e dopo aver osservato ogni cosa, essendo ormai l'ora tarda, uscì con i Dodici alla volta di Betania» (11, 11). Quindi, la presenza dei Dodici nell'apostolato gerosolimitano di Gesù è ricordata espressamente.
Infine la settima occorrenza si ha nel capitolo quattordicesimo, quando inizia la Passione. Qui la menzione dei Dodici ritorna più volte perché tutto il capitolo è presentato in stretta connessione con i Dodici. «Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici... »(14,10). « E fattasi sera venne con i Dodici ... » (14, 17). «E disse loro: è uno dei Dodici, che intinge con me nel piatto» (14, 20). E infine: «... Giuda, uno dei Dodici ...» (14, 43).
La parola i Dodici appare, dunque, sovente in Marco; e, appare ad intervalli regolari, in sette contesti diversi, quasi ogni due capitoli. Dal capitolo tre fino al quattordici, la via del discepolo che ,gradualmente giunge alla conoscenza di Dio è descritta dall'evangelista come segnata dalla presenza dei Dodici. Dal momento della loro costituzione (cap. 3) fino al disperdersi nell'ora della prova con il tradimento di Giuda (cap. 14) questa presenza è sottolineata in ogni sezione principale del Vangelo.
Possiamo affermare: i Dodici accompagnano il cammino di Gesù dalla sua prima affermazione fino alla prova finale.
Notiamo che a questi testi, dove appare la parola i Dodici e che possiamo prendere rigorosamente come punto di partenza per la nostra riflessione, andrebbero aggiunti altri tre testi che senza una loro diretta menzione trattano tuttavia episodi che li riguardano. Soprattutto noterei al capitolo 1, 16. 20; le prime chiamate; cioè i primi quattro chiamati presso il lago, i primi quattro dei Dodici; al capitolo 8, 27-
30: Pietro, il quale a nome dei Dodici, confessa che Gesù è il Cristo; al capitolo 16, 7: la nuova chiamata dei Dodici, perché si radunino presso Gesù nella Galilea, dopo la risurrezione.
Se teniamo presenti tutti gli episodi nominati, abbiamo una specie di struttura apostolica della versione marciana. È confermata quindi la possibilità di meditare l'itinerario dei Dodici nel Vangelo di Marco.
Possediamo dieci pericopi apostoliche (sette più tre), in luoghi chiave del Vangelo. Esse traggono origine da un'affermazione iniziale: «Perché stessero con Lui» (3, 14).
Tutta la carriera dei Dodici ha inizio da questo momento fondante la loro esistenza che è «l'essere con Gesù». E tutto ciò che segue è l'approfondimento di ciò che «l'essere con Gesù» significa concretamente per la vita di un uomo chiamato all'intimità personale con il Signore.
Ecco perché quella frase cos1 dura, cos1 inaspettata:
« E ne fece Dodici perché stessero con lui» (3, 14), pur nella sua rudezza, è piena di un immenso significato e contiene in germe tutta la vocazione degli apostoli. Le dieci pericopi mostrano il cammino secondo il quale gli apostoli sono giunti veramente ad essere con Gesù e possedere il mistero del Regno:
« A voi è dato il mistero del Regno di Dio» (4, 11). Essere con Gesù, ricevere da Lui il mistero del Regno, sono due espressioni che descrivono l'identità degli apostoli e il loro cammino.
* * *
Possiamo fare un'ultima osservazione su questo itinerario. In esso il momento della penitenza non è posto all'inizio, ma lo troviamo soprattutto verso la fine, con la prova della Passione, nel capitolo 14. All'inizio c'è soltanto un accenno ad essa, perché, in Marco, non ci viene presentato un itinerario di conversione che comincia con la penitenza e prosegue con la scoperta dell'essere col Cristo, ma ci viene posta innanzi una chiamata ad essere con Cristo. Essa deve gradualmente affinarsi ed approfondirsi, fino a riconoscere, in una riflessione penitenziale, quanto ancora ci manca per essere fedeli ad una vocazione già esistente.
Noi dunque seguiremo il cammino di Marco senza fare un' analisi rigorosa delle singole pericopi. Le terremo tuttavia presenti come sfondo, in maniera da potere intendere come la rivelazione progressiva del mistero del Regno si attui in coloro che sono chiamati ad «essere con Lui» .
Mediteremo il cammino che queste pericopi suppongono o indicano: ci metteremo, cioè, nei panni dei Dodici, alloro posto e ci chiederemo:
- che atteggiamento suppone nei Dodici questo porsi in ascolto rispetto a Gesù?
- Quale mentalità trova in essi?
- Quali presupposti di fede vengono richiesti; quale via si vuole far percorrere; e, quali prove presenta questa via?
- Come avviene la graduale rivelazione del Regno di Dio affinché si capisca - non soltanto a parole, ma a fatti - cosa vuol dire « essere con Lui »?
Ecco il cammino che ci accingiamo a compiere.
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Il Discernimento
- Il discernimento personale è il primo discernimento, non è un carisma ma è un dono ordinario che hanno tutti i cristiani.
- Il discernimento comunitario è analogo al discernimento comunitario, ed è il prodotto dei discernimenti personali.
- Testi biblici sul discernimento: Rom 12, 2; Ef 5, 8-20; Fil 1, 9-11; Eb 5, 11-14; 1Cor 11-14.
- Il discernimento comunitario
Il discernimento comunitario è la ricerca della volontà di Dio insieme in un modo evangelico, cioè con verità, libertà, carità.
Verità: |
che è ricerca del buono, del bene, di Dio. |
Libertà: |
occorre che i membri siano veramente liberi, cioè non condizionati né esternamente (pressioni o manipolazioni d’informazione, pressioni di correnti) né internamente (timori, paure, remore, dubbi, prevenzioni). |
Responsabilità: |
è importante essere coscienti del proprio ruolo, essere “adulto”, “maturo”. |
Carità: |
occorre agire con amore (perdonarsi, accettarsi), la carità rende possibile la verità e la libertà. |
- L’essere comunità è una condizione previa e indispensabile per il discernimento.
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Il Distacco
Per cominciare il cammino spirituale
Quando si è deciso di partire alla ricerca di Dio, bisogna fare i propri bagagli, sellare l'asino e all'alba mettersi in cammino. La montagna di Dio è appena visibile nella lontananza.
Trattandosi di una grande partenza, bisogna dire addio. A che cosa? A tutto e a niente. A niente, poiché questo mondo che si lascia sarà sempre presso di noi, dentro di noi, fino al nostro ultimo respiro. Se rifiutato e respinto, molto probabilmente risorgerà con ancora maggior veemenza all'interno di noi stessi. A tutto, poiché partendo alla ricerca dell'assoluto noi tagliamo i ponti con tutto ciò che potrebbe allontanarcene, ciò che, in noi e nelle cose, tende a opporsi all'azione divina. La realtà da cui è più faticoso distaccarsi è questo noi-stessi che, nel suo fondamentale bisogno di autonomia, rifiuta Dio.
La vera separazione non consiste, infatti, nell'allontanamento, ma nel distacco interiore. Bisogna soprattutto impedire alla nostra personalità di ripiegarsi su se stessa, di costruirsi di fronte a Dio una cittadella fortificata in cui Dio venga ammesso soltanto come ospite.
Quando vuoi pregare, bisogna che tu apra la tua casa e che la tua anima si dissolva in Dio. Ogni tipo di vita esige un distacco. Bisogna che si distacchino da se stesse e che si sciolgano l'una nell'altra le anime degli sposi, dei fidanzati. Altrimenti non sarà possibile un amore, ma un egoismo che ricerca nell'altro la propria soddisfazione. Al punto estremo dell'amore si trova il mistero dell'amore di Dio, dono totale e reciproco dell'uno all'altro. Ma per l'uomo, Dio è l'Altro per eccellenza, l'altro che finalmente si rivelerà nell'amore come l'essere del nostro stesso essere.
Prima di partire, vi sono dunque da dare alcuni colpi di scure. Recidendo i legami intorno a noi vediamo immediatamente che in realtà il taglio avviene in noi... Eppure non è necessario attendere di essersi distaccati da tutto e da se stessi per partire. Bisogna partire subito e, a poco a poco, nella misura in cui avanzeremo, le cose che più ci sono care si distanzieranno per conto loro. Molte rimarranno ancora legate ai nostri passi. È normale. Se il nostro cuore vi aderisce ancora, basterà dire a Dio; «Mio Dio, io sono ancora legato a questo o a quello, ma conto su di te per liberarmene, mentre cammino verso te ».
Cosa portar via con sé? Tutta la propria realtà e niente di meno. Curiosa risposta, dopo aver detto che bisogna abbandonare tutto e soprattutto lasciare se stessi. E tuttavia è vero, bisogna portare via se stessi integralmente. Molti non partono che apparentemente. Essi portano con sé solo un fantasma di loro stessi, un loro ritratto ideale. Si mettono così al sicuro prima ancora d'incamminarsi... Si formano una personalità artificiale, qualcosa di preso a prestito sulla base di libri e letture, e questo robot, quest'ombra di se stessi la mandano alla ricerca di Dio. Essi non entrano mai veramente con tutto il loro essere nell'esperienza. A iniziare il cammino verso Dio è già una sorta di santo artificioso, un personaggio modellato sulla scorta dei trattati di perfezione. Essi inviano un doppione di se stessi a tentare l'avventura e si meravigliano in séguito di non trarre da tutto ciò che delusione.
Partendo, bisogna caricare il proprio asino di tutto ciò che si possiede e partire con tutto ciò che si è, la propria carcassa, il proprio spirito, la propria anima, bisogna prendere tutto, le grandezze e le debolezze, il passato di peccato e le grandi speranze per il futuro, le tendenze più basse e più violente... tutto, tutto, poiché tutto deve passare attraverso il fuoco. Tutto dev'essere insomma integrato per fare di sé un essere umano capace di entrare anima e corpo nella conoscenza di Dio.
Dio vuole davanti a sé un essere reale che sappia piangere e gridare sotto l'effetto della sua grazia purificatrice. Vuole un essere che conosca il prezzo dell'amore umano e l'attrazione dell'altro sesso. Vuole un essere che senta anche il desiderio violento di resistergli, perché no?.. È un essere umano reale che Dio vuole vedere davanti a lui, senza di che la sua grazia non avrà niente da trasformare. Ora il male sta qui: troppi, tra coloro che si donano a Dio, hanno semplicemente offerto alla sua azione una personalità presa a prestito... Non bisogna stupirsi se un giorno si accorgono di essere fatti per altre cose.
I responsabili non sono sempre coloro che si mettono in cammino, ma coloro che tali cammini guidano. Insistendo sul formalismo pietistico del dono a Dio, impediscono all'anima di impegnarsi interamente nella ricerca di Dio. Nel debole e piatto personaggio cui l'anima è ridotta, Dio non trova più quella forza di vita e di azione che ha posto nella sua creazione. Lo si fa giocare con dei santi di gesso, ai quali egli potrà al massimo colorare il volto.
Quando la decisione di partire è presa e si è presenti, completamente presenti, nella piena integrità della propria persona, per la partenza, è necessario mettersi in un accordo totale, anima e corpo, con il grande corpo di Cristo che è la Chiesa, vivere con essa, ascoltare in essa le pulsazioni gigantesche che scandisce la sua vita liturgica, nei suoi insegnamenti, nei suoi sacramenti, nella sua costante attenzione... Vivendo al ritmo della Chiesa è facile orientare tutto il nostro essere verso il Signore e vivere nella speranza di sentire presto la mano di Dio posarsi su di noi.
E poiché il fine a cui conduce il cammino si perde in Dio e nessuno lo conosce se non colui che viene da Dio, Gesù Cristo, occorre, pur ascoltando i maestri che incontriamo, fissare gli occhi su Cristo solo. Egli è la via, la verità e la vita. Lui solo d'altronde ha percorso il cammino nei due sensi. Dobbiamo mettere la nostra mano nella sua e partire....
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Itinerario Spirituale
UNA AVVENTURA CHE AFFASCINA L’UMANITÀ DI TUTTI I TEMPI
Il termine “itinerario” o cammino richiama l’idea del viaggio: ogni viaggio ha una partenza, un luogo e un tempo precisi per muoversi, un punto di arrivo che indica la direzione; conosce tappe, soste, accelerazioni, svolte e punti di non ritorno. Ogni viaggio passo dopo passo attua un progressivo avvicinamento alla meta.
La formazione alla vita cristiana in generale e nella varietà delle sue forme – in quanto itinerario spirituale o viaggio dello spirito o dell’anima – ha le stesse caratteristiche: senza un punto di partenza, una meta che orienta, tappe e soste che la scandiscono non può essere un itinerario formativo, ma un solo vuoto girare su di sé, nell’illusione di un cammino che non c’è e che perde inesorabilmente di interesse e di vigore.
Con il termine itinerario spirituale oppure viaggio dello spirito o dell’anima, si designa il processo ascetico-mistico, proposto dalle grandi tradizioni cristiane e scandito in tappe successive e ascendenti, che partono dalla dimensione più esteriore e, passando a quella più interiore, approdano a Dio, mettendosi a servizio della sua gloria e della salvezza dell’umanità. Per tanto, la nostra vita può essere, se vogliamo, un’affascinante avventura spirituale al servizio di Dio e degli uomini.
Si tratta dello sviluppo della proposta vocazionale di Gesù all’umanità: una proposta unica, che costituisce il cammino spirituale fondamentale per tutti i suoi seguaci. È il punto di partenza dell’itinerario spirituale cristiano, che si sviluppa in tre momenti o chiamate, strettamente connessi tra di essi, e a partire dalle situazioni di ogni persona o gruppo umano a cui è rivolta la chiamata. Queste situazioni esigono che i discepoli diano alla proposta vocazionale di Gesù una risposta nella maturità della fede e, per tanto, creativa e responsabile, strettamente connessa con l’umanità e la sua storia, che li faccia vivere nel mondo come segno di salvezza, come segno del Regno di Dio che viene.
Nascono così nella storia della Chiesa i vari cammini o itinerari ascetici-mistici, caratteristici di un’epoca storica, che si vanno sviluppando in modo progressivo e complementare, avendo tutti come principio e fondamento il cammino o itinerario spirituale proposto da Gesù; è “il cammino spirituale evangelico”, cioè “la proposta vocazionale di Gesù all’umanità”.
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L'Accompagnamento Spirituale nella Tradizione Monastica
Bernardo Olivera
LUCE AI MIEI PASSI
Prologo
Comprendo che lo scopo di un prologo è fondamentalmente motivare, ossia risvegliare il nostro interesse per leggere con gusto... e con profitto, è chiaro. Dirò dunque due parole che potrebbero esser molto bene sintetizzate così:
L’accompagnamento spirituale è una materia bella in sé.
Qualcosa ha fascino e ci attrae quando esprime più di quanto dice: nonostante la sua relativa piccolezza, ci rimanda a un ambito superiore che evoca. Dice di più per ciò che suggerisce. Questa è la sua grazia. ciò che accade -in altro ambito- con ogni regalo (vale più di quanto vale), con ogni poesia (la sua intuizione ed emozione trascendono le parole), con ogni sacramento (la sua grazia è nella Grazia).
Prima di sviluppare le due idee enunciate, vorrei dire a chi non lo sapesse che l’autore è argentino (Buenos Aires, 1943) ed è l’Abate generale dei Cistercensi riformati. Dall’8 settembre 1990 è in continuo contatto personale con monaci, monache e comunità, e, da molto prima, con tante persone interessate alla ricerca di Dio. Siamo dunque davanti a un libro che è frutto della sua riflessione ed esperienza. E, certamente, è frutto dell’urgenza pastorale, da lui sentita, di presentarci qualcosa di così bello ed efficace come l’accompagnamento spirituale.
BELLEZZA DELLACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE A PARTIRE DA UNA BUONA ESPERIENZA DI COLUI CHE LO RICEVE
Il buon intervento dell’accompagnatore è l’obiettivo del presente libro. Compiuti debitamente gli orientamenti che vi sono contenuti, produrrebbe nell’accompagnato una buona e gratificante esperienza simile a quella che ora descriviamo.
1. È bello sperimentare che si è capiti da qualcuno (chiunque sia, però capace) che si sforza gratuitamente di capirti: lo fa nell’ambito accogliente di una calda empatia: con sguardo intelligente e in ascolto totale e silenzioso. Dimentico completamente di sé e lasciando consapevolmente da parte l’impatto che può produrre in lui quanto gli viene detto, offre la sua accoglienza, eloquente nella misura in cui ti dà il tempo sufficiente per cui nulla di significativo resti ancora da dire. Resterà, questo sì, nella persona ascoltata quella grata e liberante sensazione che prova chi ha potuto esprimersi per intero e liberamente. Diciamo con una immagine: nella borsa delle patate -aperta verso il basso- non ne è rimasta nessuna... tutte sono uscite. Se il sacco è di farina, occorrerà indubbiamente più tempo: voglio dire che la persona è più ricca di sfumature e necessita di maggior tempo per esprimersi. Ma poi giunge il momento di terminare: un buon accompagnatore ne tiene conto e chiude, così, questo tempo iniziale così prezioso di accoglienza e ascolto.
2. È bello guardarsi nello specchio di chi ha cura di noi. Ci ritorna con bontà proprio l’immagine che, valutata attentamente e contrastante con quella che desidereremmo, si presenta come quella autentica e ci invita a riconoscerla amabilmente con realismo e buon umore. Dal momento in cui lo facciamo essa è più nostra. Inoltre ci vediamo più semplificati, perché l’accompagnatore non si è coinvolto in ciò che gli veniva raccontato. E andato all’essenziale cercando ciò che era importante, cercando e seguendo il filo della trama. A noi stessi costava farlo, forse perché era doloroso, forse perché -in qualche modo- volevamo nasconderci qualcosa e non lo volevamo vedere. Però l’accompagnatore buono è stato un buon accompagnatore. Ha colto la domanda che, pur implicitamente, gli facevamo. Ha visto cosa stavamo provando e lo ha letto nei nostri sentimenti che ha fatto affiorare e verbalizzare. Poi, col nostro consenso, ha centrato la nostra attenzione su un punto chiave... Insieme ci siamo trattenuti su
questo per il tempo necessario. Poi, oh meraviglia!, vi abbiamo sottratto, tolto importanza e perfino lo abbiamo abbandonato. Sì, addio agli aneddoti e a ciò che ci ha condotto al colloquio dell’accompagnamento... Perché, in fondo, l’essenziale è scoprire quel che siamo in ciò che stiamo vivendo. Non più come lo viviamo, ma come «noi» viviamo: ciò che ci accade in quel che ci sta «toccando» e perché ci colpisce tanto. In tal modo arriviamo al fondo della questione o, meglio, di noi stessi.
3. È bello -e utile- scoprire che, in definitiva, è in noi stessi la causa per cui persone e situazioni a cui talvolta ci «abbarbichiamo» ci feriscono, in tal modo, guadagniamo in conoscenza di noi stessi e ciò ci conduce a contemplare le possibilità di soluzione che abbiamo. Ciascuno le ha. Non sono gli altri che debbono rispondere maggiormente per noi. Serve a poco il loro aiuto se non siamo noi stessi che ci muoviamo e convertiamo. Nel contesto globale della nostra vita, abbiamo la possibilità e il dovere di rispondere. A questo siamo chiamati dal profondo del nostro essere. Cercare la volontà e il volere di Dio in ciò, è entrare dentro noi stessi per rispondere in profondità con impegno e libertà. L’avanzare nella risposta, vista con maggior chiarezza e coraggio per portarla a termine decisamente e pazientemente, si trasforma in una situazione nuova. Sarà ardua, però si affronta, e a tempo debito giungeranno i frutti. Ho la certezza che il frutto più bello dell’accompagnamento spirituale è che ti fa entrare in te stesso liberandoti da te stesso, e ti fa uscire da te stesso spingendoti avanti con la lampada accesa incontro al Signore. La risposta vocazionale nasce e, se già esiste, guadagna in fermezza e gioia. Siamo orientati, incamminati, accompagnati fin dal profondo: accompagnamento spirituale, integrale.
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"Rigenerati dallo Spirito"
Andrè Louf
PREEAZIONE
La prima e, per ora, unica volta cbe ho incontrato di persona Andrè Louf è stato lo scorso anno a Roma, in occasiorue di un seminario proprio sulla paternità spirituale. Fu per me come rivedere un vecchio amico con cui - nonostante la lontananza, il passare del ternpo e il mutare delle situazioni - si è rimasti in profonda sintonia, nell'immutata capacità di intendersi con un semplice sguardo, nel grato stupore di chi si sa conosciuto in profondità, nella rinnovata meraviglia di chi conosce ciò che brucia nel cuore dell'altro. Di lui, eletto abate di un monastero trappista oltre trent'anni fa a soli trentaquattro anni, avevo infatti letto i libri, rari e preziosi come autentiche perle, destinati a diventare pietre miliari della spiritualità occidentale del dopo concilio. Li avevo sentiti come l'espressione compiuta di intuizioni che io appena intravedevo: il magistrale Signore, insegnaci a pregare, che mi fece arrossire per aver osato scrivere anch'io un libro sulla preghiera; le tre raccolte di commenti ai vangeli festivi - Solo l'amore vi basterà) - cosi densi, acuti e biblicamente radicati da farmi vincere la mia diffidenza verso il genere omiletico; il recente Sotto la guida dello Spirito di cui bo voluto curare l'edizione italiana perchè convinto cbe arrivasse a colmare un vuoto nel panorama dell'approccio ai temi fondamentali della vita cristiana. Quando perciò seppi che Andrè Louf aveva approfondito e sviluppato un semplice capitolo di questo suo ultirno lavoro, trasformandolo in un vero e proprio libro sull'accompagnamento spirituale, non potei che rallegrarrni di questo dono che veniva fatto alla chiesa tutta intera. Di autentico dono infatti si tratta, dono quanto mai necessario e prezioso in una stagione in cui rari sono diventati i padri spirituali perchè si sono rarefatti i discepoli capaci di ascolto, perchè si d privilegiato un attivismo esasperato di "organizzazione della carità" a scapito della crescita armonica nella fede, perchè si è creduto cbe l'essere tutti fratelli significasse rinnegare il dato che la vita spirituale, ccome ogni vita, la si riceve da qualcun altro, strumento nelle mani del Dio datore di ogni bene. ll lettore resterà colpito dalla profondità del radicamento biblico e patristico delle riflessioni contenute in queste pagine. Andrd Louf attinge direttamente alle fonti e riesce a fare emergere tuttà l'attualità del messaggio dei padri del deserto e di Brnardo, di Basilio e di Benedetto, di Evagrio e degli starcy russi. Questo è chiaramente frutto di un'assiduità alla lectio divina e di un'esperienza personale che emerge a ogni riga. Ed è questo radicamento nella Bibbia e nella grande tradizione che permette a Louf di accogliere, con audacia e franchezza, ma anche con discernimento, gli orizzonti dati oggi dalle scienze urnane e in special modo dalla psicologia moderna. Anche di questo dobbiamo essergli grati, perchè la tentazione di fuggire questo confronto o di opporre psicologia e vita spirituale è sempre molto forte. Era importante che un uomo di incontestabile autorità spirituale ribadisse che alcune acquisizioni della psicologia sono ormai un dato insopprimibile e che la relazione d'accompagnameruto le deve tenere in considerazione se non vuole imboccare vicoli ciechi letali per la dinamica della vita spirituale cristiana. Noi siamo sempre stati convinti che errori di spiritualità diventano patologie psicologiche e che i disturbi psicologici non sono mai estranei alla vita spirituale e proprio per questo una sinergia di dati e di attenzioni ci appare feconda secondo le indicazioni di Andrè Louf. Si, questa tradizione antichissima e inintenotta del ministero dell'accompagnamento spirituale - dai rabbini del giudaismo fino agli attuali uomini carismatici, rari ma presenti, che il Signore concede alla sua chiesa - oggi forse è in grado di riprendere un suo posto e una sua attualità... La vita spirituale non è solo obbedienza alle
leggi, la morale è subordinata alla rivelazione e alla autentica conoscenza (/'epignosis paolina) di Dio, una eccessiva razionalizzazione dell'etica cristiana può abbagliare o umiliare... Occorre dunque una maggiore attenzione allo Spirito, all'unzione maestra che è in noi (cf. rGu z,z7) e quindi occorrono dei padri spirituali, degli accompagnatori, degli amici carismatici muniti del discemimento dello Spirito che, come Giovanni Battista, a volte ci aprano la via, a volte destino domande in noi sul Veniente, a volte scompaiano per lasciare cbe Cristo regni...
Enzo Bianchi
priore di Bose
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