
Una Vita per la Missione
RIPARATORI CON CRISTO
07.10.2015 19:29
In occasione della Festa del Sacro Cuore di Gesù, è opportuna una riflessione su una dimensione fondamentale di questa festa, che è la riparazione. Che cosa significa oggi la riparazione. La risposta può essere formulata nei seguenti termini, in prospettiva comboniana.
1. Dalla creazione del mondo alla sua riparazione
Nel principio “Dio vide che tutto era molto buono” (Gn 1, 31). Tutto era perfetto. Non vi era niente da riparare. Il peccato entrò nel mondo attraverso la porta della libertà mal usata. Ma Dio non si lascia vincere dai mali umani. Per Lui tutti i mali hanno rimedio, anche se ciò esiga il suo stesso martirio. Egli “vuole che tutti gli uomini si salvino” (1Tm. 2, 4), costi quel che costi. Così, Dio Creatore inventò la riparazione. L’officina della creazione della Comunità Trinitaria del Padre, Figlio e Spirito Santo si trasforma in un’officina di riparazione.
2. Riparazione: un felice progetto
Riparare è un’azione positiva di ricostruzione di ciò che rimase danneggiato o distrutto. È effettuare un restauro. È rifare qualcosa che è stato disfatto. Perciò, c’è bisogno di superare certe connotazioni negative:
- dolorismo
Cercare il sacrificio per il sacrificio è masochismo. Il nostro Dio dice chiaramente: “voglio la misericordia e non i sacrifici” (Mt 12, 7). La Buona Notizia di Gesù è di beatitudine, qual formula esigente d’essere felice. Il cristianesimo non è una religione di rassegnati, ma di felici conquistatori del regno dei cieli, anche se attraverso il cammino della croce.
- rigorismo
Si tratta della difficoltà nel convivere con un Dio “ricco in misericordia”.Ogni esigenza che non vada d’accordo con “amore immenso” (Ef 2,4), con liberazione profonda, non viene da Dio. In effetti, il giogo di Gesù è dolce e il suo carico leggero (Mt 11,30).
- pessimismo e vittimismo
Dio ama chi dà con gioia (2Cor 9, 7). Non si tratta di un Dio di sacrifici e olocausti. Come ricorda Gesù: “ Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito... Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3, 16-17). La vera riparazione cristiana é ottimista, suscitatrice di speranza, costruttiva. Coltivare lo spirito riparatore e praticare la riparazione é assumere la missione di infermiere o medico per curare le infermità del peccato. Riparare è amare. «È l’amore “sino alla fine” (Gv 13,1) che conferisce al sacrificio di Cristo valore di redenzione... Egli ci ha tutti conosciuti e amati nell’offerta della sua vita» (CIC. 616).
3. Con Cristo Riparatore
Riparare è collaborare con Gesù perché dove c’è il male regni il bene (Rm 12, 21), dove abbonda il peccato sovrabbondi la grazia (Rm 5, 20). In questo contesto di riparazione nasce la preghiera di San Francesco:
“Signore, fá di me uno strumento della tua pace.
Dov’è odio, che io porti l’amore.
Dov’è offesa, che io porti il perdono.
Dov’è discordia, che io porti l’unione.
Dov’è errore, che io porti la verità.
Dov’è tenebra, che io porti la luce.
Dov’è disperazione, che io porti la speranza.
Dov’è tristezza, che io porti la gioia.
Dove sono tenebre, che io porti la luce”.
Riparare é unirci a Gesù Cristo, all’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. È dire con Paolo: Completo ciò che manca alla riparazione di Cristo nel suo corpo, che è la Chiesa (cfr. Col 1, 24).
Riparare è unirci al Cuore di Gesù mediante la nostra consacrazione religiosa nei tre voti di castità, povertà e obbedienza, vedendo in essi una terapia per il mondo. Ed è unirci a Lui nel nostro apostolato missionario.
4. Un piano missionario di riparazione
Con Daniele Comboni la riparazione al Cuore di Gesù assume una nuova dimensione. Riparare il Cuore di Cristo è vivere per realizzare un piano missionario, la cui intuizione carismatica lo raggiunse durante il triduo di preparazione per la beatificazione di Margherita Maria Alacoque. Era il “Piano per la Rigenerazione dell’Africa”. Per Comboni, il Cuore di Gesù palpitò di amore anche per i Neri dell’Africa Centrale. Per questo, al sintonizzarsi con quel palpito del Cuore di Gesù si mette a sua disposizione per la rigenerazione di quel popolo. In fondo, la riparazione è una risposta all’«ho sete » del Cuore Trafitto del Buon Pastore che è venuto perché tutti abbiamo vita e l’abbiano in abbondanza.
5. Un piano nato nell’officina di riparazione della Trinità
Se chiediamo a Daniele Comboni il certificato di garanzia della sua vita e del suo messaggio, ci dirà precisamente che è un prodotto garantito proveniente dall’officina della Trinità. In essa è stato creato e riparato e quindi coinvolto nella sua attività di riparazione o rigenerazione dell’umanità.
Da dove vengo?
Dalla certezza della mia vocazione
Vengo dalla certezza della mia vocazione a essere Apostolo della Nigrizia; vocazione che ho avvertito come desiderio nella mia infanzia e che ho coltivato nell ‘Istituto Mazza fino alla decisione definitiva della mia totale donazione a Dio per la rigenerazione della Nigrizia. Sta qui il segreto della tenacia con la quale ho vissuto la consacrazione alla causa della Nigrizia e la costanza con la quale son rimasto fedele a questo ideale contro tutte le difficoltà fino alla morte. Vengo da una risposta vocazionale purificata e fortificata nel crogiolo del deserto. In effetti, non c’è risposta alla vocazione senza sacrificio. Così è avvenuto che ho lasciato tutto, mi son lasciato possedere dal Tutto e mi sono consegnato totalmente a Lui per l’opera a cui mi chiamava. Ho vissuto la vocazione come un pellegrinaggio, come un passare a un’altra sponda, in cui Dio mi ha fatto “sposo” e liberatore della Nigrizia.
Sì, vengo dal deserto.
Questa realtà mi è molto familiare sia nella sua dimensione fisico-geografica sia spirituale. Vengo, in fatti, dagli interminabili viaggi nel deserto, che ho dovuto attraversare ben 7 volte, per arrivare al cuore dell’Africa. La grande superficie del deserto da Korosko a Berber è penetrata nella mia carne e nel mio spirito di “votato” alla Nigrizia. È un deserto “vasto” e “di orrido aspetto”, ma anche salutare, perché nella sua solitudine, nel silenzio, nello spazio senza fine, sotto un cielo terso, si solleva e si fortifica l’anima. Attraverso questo deserto ho camminato cercando quell’altra sponda dove Dio mi inviava, popolata da volti sfigurati di fratelli miei, sostenuto da Dio stesso, che col suo Volto paterno mi sorrideva e mi tendeva le braccia dall’Alto dell’Eternità…
Così il deserto delle grandi estensioni dell’Africa centrale è divenuto parte integrante della mia vita, simbolo del mio deserto interiore, cioè del mio “impeto” missionario purificato attraverso la estesa, arida e oscura esperienza del deserto della mia anima. Ho vissuto il deserto della mia anima in modo molto intenso e perfino drammatico nelle varie tappe del mio itinerario missionario, culminato con la morte sulla breccia Il deserto interiore, infatti, è l’anima sola, vuota, in aridità e angustia… È l’anima mia innamorata-consegnata e senza comprensione, senza compagnia, senza acqua, senza vita… È la mia situazione di uomo “solo” disposto a dare mille vite per l’amata Nigrizia; è l’esperienza di una stretta al cuore provocata dall’ impeto della Carità sgorgata dal Cuore di Gesù Trafitto sul Gólgota, per cui vengo a trovarmi distaccato da tutto e lontano da tutti e allo stesso tempo macinato come chicco di frumento per essere con Gesù pane che dia vita alla Nigrizia….
Vengo dalla mia interiorità, dove abita un forte sentimento di Dio
Non sono entrato nel deserto in cerca di avventure esotiche o di tesori nascosti, ma disposto a perdere tutte le sicurezze umane e desideroso di lasciarmi conquistare e amare da Dio solo….
Per me, Dio, solo Dio, è la ragione unica del mio essere missionario. La sua presenza in me è il mio Amore, la mia Ricchezza, la mia Libertà. La mia unica felicità è sentirmi continuamente abitato da questa Presenza Amorosa, che dà calore alla mia esistenza, anche se è di notte; la mia unica felicità è vivere per la gloria di questo Dio che si fa compagno nel viaggio della mia vita, accettando che si serva di me per la felicità degli Africani. Sì, mi è rimasto solo LUI, unica certezza e garanzia del mio cammino missionario. Forse sei abituato a pensarmi come un uomo preoccupato per le cose di Dio: la Nigrizia da rigenerare, i viaggi di animazione missionaria, le fondazioni degli Istituti, i complicati problemi della gestione della Missione… In realtà sono appassionatamente occupato nelle cose di Dio, ma mai preoccupato; vivo, infatti, da innamorato di Dio, da appassionato ricercatore del suo Volto e del compimento fedele della sua volontà, per cui la mia prima occupazione è il tratto con Lui. È da Lui che prendo inspirazione e forza per gli affari della Missione. Ho cominciato fin dalla mia infanzia a cercare unicamente la volontà di questo Dio, che mi ha “consacrato” alle missioni dell’Africa; sono vissuto e vivo sempre disposto a sacrificare tutto pur di compierla e con il proposito di vivere e morire compiendo unicamente questa volontà divina, sostenuto dalla certezza che compierla è l’unica consolazione nelle prove. Nella mia sete d’Infinito, la Missione mi appare in tutta la sua chiarezza come dono di Dio. Un Dio che ho cercato e trovato, ma che mi ha amato e cercato per primo e che, mentre mi salva, mi sceglie come strumento di questa stessa salvezza per i miei fratelli più lontani da essa. Ho imparato così a cogliere la mia vita tra le mani con gratitudine e gioia filiale e a offrirla in dono a questo Dio della vita per la rigenerazione dei miei fratelli più poveri ed oppressi.
La mia dedicazione totale alla causa della rigenerazione dell’Africa Centrale è nata nel “deserto” della mia anima, fatta ascolto e abbandono nelle mani della Provvidenza divina, disposta a tutto, perché appartiene definitivamente a Dio, desiderosa di narrare e testimoniare questa grande Storia d’Amore, fonte e destino ultimo d’ogni vita umana. Vivo la mia avventura missionaria coinvolto in questa Storia d’Amore: l’amore di Dio in me e per me mi ha consacrato alla Nigrizia, che ho cominciato ad amare con quest’amore di Dio; e l’ho amata sempre più, fino all’estremo delle mie forze, nella misura in cui crescevo in quest’amore; e crescevo, perché il bisogno di salvezza della mia amata Nigrizia mi spingeva sempre più verso l’Amore provvidente e rigeneratore di Dio.
Vengo dal Cuore di Cristo
Percorrendo il deserto della mia anima ho trovato un “pozzo”. Sì, perché anche se nel deserto non c’è altro che arena, anche se non vedi e non senti niente, si trova sempre nascosto da qualche parte un pozzo, dove puoi bere e riprendere le forze (cf Gen 21, 8-19).Questo pozzo è il Cuore Trafitto di Gesù, Buon Pastore. Inoltrandomi nel mio deserto sazio la mia sete bevendo in abbondanza da questo “pozzo”. L’acqua che scaturisce da esso, è quella “Virtù divina” che, penetrando nel mio mondo interiore, mi spinge a svilupparlo senza posa. È essa che rende in me sempre più forte il sentimento di Dio e sempre più saldo il legame di solidarietà con la Nigrizia. È da essa che nasce in me quella vita esteriore esuberante, tenace e coerente che richiama la tua attenzione.
Vengo dal deserto della Nigrizia e dalla solidarietà con essa
Il deserto della mia anima si incrocia con il deserto della Nigrizia. In fatti, il deserto affascinante e orribile che dovevo attraversare per raggiungere la Nigrizia, si proietta su di essa come un “buio misterioso” che la avvolge. Un buio che nasce da un intreccio di fenomeni sconcertanti e che attanaglia gli Africani in una vicenda di “povertà” radicale” di oltre quaranta secoli, tenendoli lontani dai benefici del progresso umano e della fede. È una povertà in tutte le direzioni: essa tocca l’ambiente naturale, fascinante e nello steso tempo ostile alla vita e alla missione, le anime, i corpi e il tessuto sociale, causando l’indole avvilita dei neri, “su cui pare che ancora pesi tremendo l’anatema di Cam”. In una parola, è una povertà che, come il deserto, scava un vuoto orribile tutto all’intorno ed in mezzo alla Nigrizia e la rende una viva immagine di un’anima abbandonata da Dio. Tuttavia la meravigliosa aurora del deserto che imporpora come un incendio d’oro il cielo, i monti e il piano; il sole che puntualmente si alza maestoso e infuoca l’immenso vuoto del deserto, sono nel mio animo segni della presenza provvidente di Dio in tutti i luoghi, anche nel regno della morte. Questa presenza mi spinge a entrare e mi sostiene in questo “buio misterioso” della Nigrizia, per far causa comune con i suoi figli e figlie, nella certezza della loro rigenerazione. Posso dirti allora che vengo da una vita vissuta in solidarietà con i popoli poveri e oppressi della Nigrizia; unito e in comunione con questi miei fratelli concreti. Vengo da questa vita di dimenticati e marginati della storia, che la società ricorda solo quando fanno notizia per qualche nuova disgrazia che li colpisce o quando trova qualche nuovo modo per sfruttarli
Vengo dalla comunione con la Trinità
Proseguendo il cammino del deserto della mia anima, coinvolto in questo “buio misterioso” che ricopre la Nigrizia e sostenuto dall’acqua che sgorga dal Cuore di Cristo, a un certo momento mi trovai sul Monte del Signore. Non so bene se fosse il monte Oreb, o quello della Trasfigurazione o del Calvario. Forse tutti e tre questi monti per una volta si sono ravvicinati e mi hanno stretto assieme nel loro abbraccio, comunicandomi qualcosa del Mistero di Dio di cui ciascuno di essi è testimone. Il fatto si verificò sul colle del Vaticano, mentre pregavo sulla tomba di S. Pietro, contemplando il Cuore di Gesù in occasione della beatificazione di Margherita Maria Alaquoque. Si tratta di un momento di preghiera, nel quale mi vengono dall’Alto i singoli punti del Piano per la rigenerazione della Nigrizia, che imprimono una svolta definitiva e configurano il resto della mia vita missionaria. In esso è presente tutta la Sacrosanta Trinità. Di fatto, una intensa luce “dall’Alto” illumina nel mio spirito la comunione con la Trinità da me vissuta fino a questo momento. Comincio a esperimentare la comunione con la Trinità in un modo nuovo, in quanto la percepisco pellegrina nel cammino degli uomini... Questa percezione che inonda il mio spirito, è la vena nascosta che dà ragione e forma alla mia “passione” per la Nigrizia, per cui posso dirti con verità che vengo dal cuore della Trinità.
Vengo dal coinvolgimento nel dinamismo dello Spirito Santo, “Virtù divina”, che mi rivela nel Cuore Trafitto di Gesù sulla Croce il segno e lo strumento perenne dell’amore salvifico che eternamente sgorga dal cuore del Padre, e la via della solidarietà con la vita di tutti gli uomini. Vengo così introdotto nell’inesauribile dialogo e comunione tra il Padre che ama tanto il mondo da decidere di inviare il Figlio, e il Figlio che risponde con la sua obbediente consegna redentrice fino alla morte in Croce e mi merita il dono di questa stessa “Virtù divina” come fiamma di Carità che sgorga dal suo Cuore Trafitto.
All’essere coinvolto nell’azione salvifica della Trinità mediante questa fiamma di Carità, vengo tratto fuori dal “buio misterioso” che ricopre l’Africa e dalla paura del passato in cui “rischi di ogni genere e scogli insormontabili sgominarono le forze e gettarono lo sgomento” tra le file missionarie. La Nigrizia si trasfigura ora davanti al mio sguardo: comincio a vederla ”come una miriade infinita di fratelli aventi un comun Padre su in cielo”. L’abbraccio di Dio Padre lo esperimento segnato dalla sofferenza di questi suoi figli africani, e nel bisognoso africano scopro un fratello, che ancora non usufruisce della benedizione del Padre che scaturisce dalla Croce…, per cui ha bisogno di essere incamminato verso di Lui.
Sotto l’influsso dello Spirito Santo esperimentato come fiamma di Carità che sgorga dal costato del Crocifisso sul Gólgota, sento che i palpiti del mio cuore si fondono con quelli di Gesù e si accelerano. In questa sintonia di cuori percepisco come il Padre, attraverso il suo Figlio incarnato, morto e risorto, ascolta il grido di quella miriade di figli suoi che vivono in Africa ancor “incurvati e gementi sotto il giogo di Satana” ed entra con tutto il suo essere nella loro storia e nel loro dolore.
Questa Carità mi fa sentire figlio amato dal “comun Padre” che si prende cura di me allo stesso modo che dei miei fratelli più abbandonati fino alla consegna del suo proprio Figlio; è questa Carità che mi trasporta e mi spinge a stringerli tra la braccia e dar loro il bacio di pace e di amore; mi spinge, cioè, ad assumere la loro storia e il loro dolore divenendone parte e facendo “causa comune con loro”, anche con il rischio della mia vita.
È un incontro con dei fratelli, in cui si cela il volto di Gesù nello sconcertante mistero della sua identificazione con gli esclusi della storia. Nei miei fratelli africani oppressi mi si rivela il volto dolorante e sfigurato del Crocifisso, che fissa il suo sguardo su di me e mi chiama a evangelizzarli e a lavorare per il loro progresso e per la liberazione dalla loro schiavitù. Nello stesso tempo continuo a tenere lo sguardo fisso sul Crocifisso, per “capire sempre meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime”.
Sono i fratelli che ricevo dall’azione salvifica della Trinità, ai quali posso finalmente comunicare l’evento salvifico del Trafitto–Risorto, che rompe il loro esilio e li mette sul cammino della libertà, pregustazione della Patria Trinitaria. Così sarà piena la loro e la mia gioia. Sì sono davvero uno strumento dell’officina di riparazione della Trinità, il primo di una serie che arriva fino a te….
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