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Mons. Felicolo: lavorare per costruire una cultura dell’incontro
19.12.2014 09:38
Roma - “Il malessere di Tor Sapienza come di altre realtà della periferia romana si è evidenziato ormai da tempo ed è purtroppo noto. Certe situazioni emergono improvvisamente, ma tante volte sono espressione di disagi presenti da anni e che sono conosciuti”. Ad affermarlo è il direttore dell’Ufficio Migrantes della Conferenza Episcopale del Lazio e della diocesi di Roma, mons. Pierpaolo Felicolo, in una intervista pubblicata dal quotidiano non profit Korazym.org..
Per mons. Felicolo “la politica deve tener conto delle reali situazioni di tante zone e deve costruire una maggiore coesione sociale e non esasperare i toni dello scontro, ma ricercare il confronto, magari aiutando tutti a lavorare assieme per il bene del proprio territorio di residenza”. Negli ultimi giorni papa Francesco, parlando ai partecipanti al Convegno Mondiale sulle Migrazioni ha ribadito il dovere dell’accoglienza per la Chiesa, mettendo in evidenza che nella Chiesa nessuno è straniero: “siamo chiamati, come Chiesa, ad un’accoglienza ad ampio raggio verso tutti; innanzitutto a capire il perché si emigra (la maggior parte delle volte si fugge da guerra, violenza, si cerca un lavoro dignitoso…) e ad accompagnare i migranti in un percorso di integrazione, che è aiutarli a comprendere la lingua del Paese che li ospita, a vivere in un posto decoroso, con un lavoro dignitoso e a comprendere sempre più il luogo dove si trovano per rispettare pienamente leggi e costumi, che poi sono la strada principale per una maggiore integrazione”. Come Chiesa – è la conclusione del sacerdote molto impegnato nella pastorale dei migranti – “sentiamo il dovere di costruire, di coltivare la cultura dell’incontro che è far conoscere le persone e, nella conoscenza, far superare pregiudizi, paure, diffidenze, perché sempre più si veda nell’altro non un pericolo, ma una ricchezza. Perciò anche le nostre realtà ecclesiali siano luoghi di incontro, di conoscenza, di confronto, di amicizia vera. Questo incontro alla fine diventa un dono reciproco ed anche questa è una strada per una piena integrazione”.
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