
Una Vita per la Missione
Il Dialogo che batte la violenza
25.03.2014 20:59Intervento di Enzo Bianchi
La riflessione non può che partire dai testi evangelici che narrano la vita di Gesù Cristo: una vicenda umana e spirituale che – anche a chi non vi scorga elementi soprannaturali o legami con la divinità della figura – esprime con le parole e con i fatti una condanna esplicita di ogni violenza, qualunque sia la «ragione» che pretenda giustificarla, fosse anche quella compiuta in nome della fede: il perdono illimitato e l’amore per i nemici diventano un comando essenziale nella sequela cristiana. Gesù di Nazaret ha mostrato che il male si può vincere solo con il bene e con un perdono rinnovato fino a «settanta volte sette».
D’altro canto è vero che, sempre dai vangeli, emerge come il cristianesimo non sia una religione come le altre, dal momento che chiede di criticare la religione stessa. Marcel Gauchet si è spinto fino a parlare di «cristianesimo come religione dell’uscita dalla religione»: è questa singolarità che – nella scia dei profeti veterotestamentari, durissimi contro gli abusi del potere anche religioso – ha dato vita a pagine evangeliche e a testimonianze di uomini e donne di ogni epoca capaci di opporsi a ogni violenza e ingiustizia.
Certo, il documento teologico avrebbe potuto aprire in modo più esplicito e preciso a una confessione penitenziale delle colpe storiche dei cristiani, ma nessuno dei cattolici, almeno finora, ha dimenticato la lettera apostolica Tertio millennio adveniente e la liturgia profetica nelle quali Giovanni Paolo II ha chiesto perdono per i peccati commessi dai cristiani, in particolare per gli atti di violenza, di persecuzione e di intolleranza praticate nei confronti degli altri.
Ma vorrei proseguire la riflessione sollecitata dal documento dei teologi allargando l’orizzonte al dialogo con gli altri due monoteismi: dialogo foriero di maggiore comprensione e arricchimento reciproco anche nei confronti del mondo non religioso. Ora, un incontro esige preliminarmente la conoscenza e questa a sua volta esige la volontà positiva di dare tempo all’altro, di ascoltarlo e di condividere con lui ciò che si ha di più prezioso. L’incontro dei monoteismi richiede che si sappia ascoltare reciprocamente non solo le Scritture sacre degli altri, ma anche i racconti delle altrui esperienze e tradizioni spirituali.
Oggi, lo dobbiamo ammettere, la violenza appare presente soprattutto in frange islamiche fondamentaliste e integraliste. Non tutto l’Islam predica e agisce con violenza, e molte comunità musulmane sono impegnate in una interpretazione storico-critica che sa distinguere il messaggio del Corano dalla violenza di cui ci sono tracce nel Corano stesso. Occorre tempo e pazienza ma, come attesta papa Francesco nella Gaudium fidei, oggi la Chiesa è non solo attenta a questa dinamica ma vuole favorirla, riconoscendo nell’Islam un cammino che chiede la conversione dagli idoli all’unico Dio vivente.
Riprendendo il cammino del comune antenato, Abramo, le tre religioni monoteiste hanno il compito di obbedire sempre e di nuovo al comando divino: «Esci dalla tua terra e va’ verso te stesso». Si tratta di uscire da sé, di andare incontro all’Altro e agli altri attraverso una vita interiore che sia fonte di umanizzazione. Si tratta di impegnarsi in un dialogo serio e condotto in verità, che non lascia immutati, ma trasforma. Questo rischio del dialogo, della rinuncia alla propria autosufficienza, all’isolamento superbo e miope, deve essere corso da chi oggi vuole costruire un mondo più conviviale, più pacifico, più fraterno, e vuole andare più a fondo nell’esperienza spirituale.
—————