Una Vita per la Missione
Gesù, il Maestro di strada
29.03.2014 18:19
Intervento da "I Mercoledì della Bibbia"
Nei suoi tre anni di vita pubblica Gesù si presenta come l’uomo che ama uscire dalla rassicurante sicurezza della casa, per affrontare l’imprevisto della strada. Non mancano certamente i momenti in cui Gesù accetta di fermarsi in una casa, soprattutto per un momento di convivialità, come succede nell’incontro con Levi o per un discernimento comunitario con i suoi discepoli, ma egli ama esercitare la sua missione di maestro facendo della strada il luogo privilegiato del suo insegnamento.Volendo affrontare questo rapporto di Gesù con la strada ho pensato di scegliere il Vangelo di Marco, come riferimento principale. In effetti il Gesù, che affiora dal vangelo di Marco è un Gesù, che si ferma in una casa lo stretto necessario, mentre egli preferisce affrontare la strada per cercare l’incontro con ogni creatura umana. In fondo anche negli altri Vangeli emerge questo stretto rapporto tra Gesù e la strada.
L’apertura di questo vangelo è caratterizzata dalla scena del battesimo di Gesù al Giordano e dal suo essere sospinto dallo Spirito nel deserto. Dopo questa esperienza nel deserto, che in un certo senso sintetizza in modo simbolico tutta la vita di Gesù, il vangelo annota che egli viene nella Galilea, annunciando il vangelo del Regno di Dio e che fa tutto questo “passando lungo il mare di Galilea”.
Il Gesù che viene incontro alla sua Galilea è anche colui che si pone di fronte al mare, che per la bibbia ha un forte potere evocativo. Egli irrompe sulla scena pubblica ed il primo gesto che compie è quello di camminare lungo il mare, di prendere contatto con una realtà che con la sua liquidità resiste ad ogni tentativo di ricevere una forma, di accettare una certa stabilità. Il mare è “l’informe” per eccellenza, “il drago” che inghiotte qualsiasi vita e qualsiasi speranza.
Il pensiero va subito al libro dell’esodo, dove viene detto che quella massa di schiavi ebrei che avevano avuto la possibilità di poter lasciare l’Egitto, la loro terra di schiavitù, si ritrovarono con loro grande sorpresa a dover fare i conti con l’impossibilità di attraversare il mare e trovare, così, la salvezza: “Il Signore disse a Mosé: Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all’asciutto” (Es 14,15-16).
Gesù, passando lungo il mare, intende prendere contatto con una storia umana che assomiglia molto al mare e che sembra inghiottire ogni progetto e ogni speranza, lasciando sulla spiaggia dei semplici relitti umani. In ascolto della “Voce che viene dal cielo” Gesù intende aprire una strada in mezzo al mare: una strada che possa essere percorsa da tutti i poveri e da tutti gli esclusi. La “buona novella” che Gesù annuncia a tutti i “senza-speranza” consiste soprattutto nel coinvolgerli in questo attraversamento del mare per poter giungere o, ancora meglio, per poter ritornare a quella “casa”, che è il grembo di Dio Padre, che da sempre è in attesa.
Nel suo camminare lungo il mare, che rivela tutta la sua intenzione di non fuggire da una realtà che stritola ogni progetto o sogno, che ha smarrito valori, che è in continua mobilità come il mare, Gesù è impegnato ad incontrare lo sguardo di ogni creatura umana per coinvolgerla in questo viaggio, che la fede rende possibile. E così Gesù senza dire molte parole coinvolge Simone ed Andrea, Giacomo e Giovanni e dopo di loro tanti altri a partire con lui per un viaggio, che prevede l’attraversamento del mare per giungere alla “casa”, che realizza tutte le attese dell’umanità.
Il viaggio, in cui Gesù ha già coinvolto alcuni discepoli, passa attraverso quegli spazi, che costituiscono l’ambito privilegiato dove si snoda la storia del suo popolo.
Il primo appuntamento è con la “sinagoga”, luogo di preghiera e di studio della Parola del Signore, luogo di incontro e di discernimento. In teoria non ci sarebbe luogo migliore di questo ed invece l’umanità che la abita si presenta come “posseduta da uno spirito immondo” (Mc1,23). Nonostante tutte le buone intenzioni, c’è una grande resistenza del cuore umano ad aprirsi alle dinamiche della Parola di Dio. C’è un inquinamento interiore che impedisce un ascolto obbediente che permetta alla Parola di tradursi in vita vissuta.
Gesù non ha paura ad attraversare questa realtà, che è tentata di rinchiudersi nelle proprie certezze, di avvitarsi in un’autoreferenzialità, che di fatto la chiude alla sua vera vocazione. Egli, visitandola, fa emergere queste contraddizioni, non per condannare, ma per provocare un “esodo”, per rimetterla sulla strada, per coinvolgerla in un cammino, che non si accontenta di acquietanti compromessi. Per ogni comunità religiosa c’è sempre la tentazione di ridurre tutto alla misura umana, smorzando ogni slancio e chiudendosi ad ogni vero cambiamento.
Dalla sinagoga si passa alla “casa”, che è quella di Pietro. La casa, ogni casa è chiamata ad essere lo spazio dell’intimità, dove si fa esperienza dell’essere accolti e di accogliere, ma la casa di Pietro si presenta come una realtà malata, percorsa dalla febbre. La presenza di Gesù rimette in piedi, ma soprattutto ridona un sentire nuovo, che si traduce in una disponibilità alla “diaconia”. Se ogni casa è tentata di chiudersi in un certo intimismo geloso del proprio spazio, la casa di Pietro si apre alla città e subito dopo al mondo intero.
L’evangelista Marco annota che Gesù “al mattino si alzò quando ancora era buio e uscito di casa si ritirò in un luogo deserto e là pregava” (Mc 1,35). Anche la casa di Pietro deve sentirsi impegnata in questo “esodo”, in questo uscire dal rassicurante cerchio familiare, per aprirsi all’incontro con l’altro. Di fronte alle rimostranze di Pietro, che non si dà pace per questa uscita di Gesù, egli si sente rispondere in maniera perentoria: “Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là, per questo sono uscito” (Mc 1,38).
Gesù si mostra molto interessato a questo “uscire”, a questo porsi in esodo, per affrontare la strada, quella che porta “altrove”. La sinagoga, come anche la casa di Pietro vengono interessate da Gesù a questa urgenza di trascendimento, di saper andare “oltre”, evitando la tentazione del rinchiudersi in sterili autosufficienze.
In questo primo capitolo del Vangelo di Marco emerge con chiarezza lo stile e l’intento di Gesù.
Nell’esperienza di Gesù il viaggio, la strada non costituiscono piccole parentesi della sua vita, ma dicono, esprimono la sua vita, che è in viaggio, in esodo verso il grembo del Padre. Ma il Gesù in cammino verso il Padre è anche “il fratello”, che va in cerca di ogni creatura umana, per annunziarle l’evangelo della paternità di Dio ed invitarla a mettersi in cammino con lui, per ritrovare il gusto della casa paterna/materna.
Una volta presa la decisione di mettersi sulla strada, è necessario essere pronti a saper affrontare qualsiasi tipo di incontro. L’evangelista Marco si preoccupa di annotare che Gesù è impegnato a percorrere tutte le strade della Galilea, facendo visita alle varie sinagoghe, che incontra sul cammino. Dentro questo percorso la novità è data dall’incontro con un lebbroso, che ha la forza di sfidare le proibizioni e di presentarsi supplice davanti a Gesù.
Avendo scelto la strada come spazio ideale d’incontro, dove non è richiesto nessun lasciapassare, Gesù è pronto a superare confini e steccati linguistici e religiosi. Dopo la prima condivisione dei pani Marco fa presente che “Gesù si allontanò sino alle estremità di Tiro” (Mc 7,24). Siamo in pieno territorio pagano e per un ebreo è un grosso problema ritrovarsi con persone considerate in stato di impurità rituale.
Nel suo presentarsi come il viandante intenzionato ad aprire una strada in mezzo al mare Gesù ha coinvolto sempre più discepoli, che con grande entusiasmo hanno deciso di camminare dietro a Lui. Man mano che essi fanno strada con Gesù, sono costretti a rendersi conto che il cammino che essi hanno vagheggiato è ben diverso da quello prospettato dal loro Maestro e Signore.
Un primo discernimento è provocato da Gesù stesso, quando sono in cammino per i villaggi di Cesarea di Filippo e “per strada interrogava i suoi discepoli dicendo: Chi dice la gente che io sia?”(Mc 8,27). Il fatto che Gesù ponga la domanda proprio adesso che si trovano in zone che fanno riferimento a “Cesare” sembra suggerire l’idea che l’intenzione di Gesù sia quella di verificare il diverso modo di intendere “il potere”.
La strada che Gesù è impegnato a percorrere non è quella che porta alla presa del potere alla stregua di Cesare , ma è quella che conduce alla vera Gerusalemme, a quella città che Dio ha sognato e preparato per tutta l’umanità, in quanto spazio di vera fraternità, luogo di comunione e di pace. Si tratta di una strada che chiede un certo allenamento alle salite e soprattutto un ribaltamento delle proprie aspettative.
Gesù continua a percorrere questa strada con molta decisione, ma tutto questo mette in imbarazzo i suoi discepoli, che fanno fatica a starci dietro: “Erano in strada, ascendenti a Gerusalemme. Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore” (Mc 10,32). Una cosa è parlare di solidarietà, di fraternità, ben altra cosa è coinvolgersi in un progetto che preveda il fallimento della propria azione.
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